Sostenibilità, energie rinnovabili, lotta al cambiamento climatico, graduale diminuzione delle emissioni di carbonio e tanto altro ancora. Negli ultimi anni il tema green delle politiche ambientali ha quasi cannibalizzato l’agenda dell’Unione europea. Il problema è che Bruxelles si è mossa per lo più a parole, visto che continuano a sussistere numerose pratiche inquinanti responsabili di quelle stesse cause che l’Ue vorrebbe risolvere. Un esempio? L’immondizia tecnologica: e-waste. La nostra era digitale ci vede quotidianamente alla prese con un quantitativo impressionante di prodotti elettrici ed elettronici che a ritmi sempre più veloci, vista la loro scarsa durata, sono destinati a trasformarsi in una mole notevole di rifiuti altamente pericolosi, denominati e-waste. Ma vi siete mai chiesti dove vanno i rifiuti elettronici di tutto il mondo? Tv, stereo, computer, cellulari, tablet, consolle ed elettrodomestici contengono infatti composti chimici altamente nocivi per la nostra salute quali: piombo, mercurio, cadmio, berillio, metalli pesanti, PVC, cloro, ritardanti di fiamma bromurati ecc. Una materia così delicata ha imposto una legislazione stringente, ma purtroppo, come spesso accade in campo ambientale, la pratica si discosta nettamente dalla teoria. La direttiva europea 2002/95/CE sui rifiuti da apparecchiature elettriche ed elettroniche (RAEE) impone la raccolta differenziata per i RAEE, introducendo il principio del ritiro dei vecchi apparecchi al momento dell’acquisto di nuovi. In pratica, si assegna la responsabilità ai produttori, che hanno l’obbligo di finanziare trasporto, trattamento, recupero e smaltimento finale dei RAEE, pena l’applicazione di sanzioni amministrative. Al contempo, però, la direttiva cerca di limitare l’incidenza di questi costi a carico delle case produttrici, stabilendo degli incentivi a favore delle aziende che introducono accorgimenti per limitare il volume, il peso e la pericolosità degli apparecchi elettrici o elettronici. In Italia la direttiva è stata recepita col decreto legge 151 del 2005, entrato in vigore 3 anni più tardi, che prevede la possibilità per i produttori di applicare un sovrapprezzo definito (detto visible fee) sui propri prodotti, al fine di ammortizzare i costi sostenuti per il recupero e il riciclo dei RAEE, garantire il ritiro dei vecchi apparecchi e gestire il riciclo dei rifiuti elettronici, salvaguardando l’ambiente e la salute umana.
I prodotti tecnologici europei e americani raggiungono spesso l’asia e l’Africa
Già dal lontano 1989 con la Convenzione di Basilea si sancì il divieto di esportazione degli e-waste non destinati al recupero o al riciclo verso i Paesi in via di sviluppo. Tuttavia la realtà è ben diversa. Infatti, basti pensare che i tre quarti dei RAEE prodotti in gran parte negli Usa ed in Europa raggiungono illegalmente Cina, che è la massima importatrice, India e Africa occidentale. Secondo uno studio del programma ambiente dell’ONU, dal titolo “Where are WEee in Africa”, nel solo 2009 sono approdate nel Continente nero circa 220.000 tonnellate di RAEE provenienti in gran parte dall’Europa, con conseguenze devastanti per l’integrità degli ecosistemi e la salute degli abitanti di quei Paesi. Solo un terzo di quel materiale nocivo, infatti, è destinato al recupero e al riciclo, mentre la maggior parte sfugge ai controlli e riempie discariche abusive, miniere abbandonate o cave di ghiaia, dopo aver naturalmente fruttato ingenti guadagni a coloro che gestiscono illegalmente questi traffici. Senza dimenticare le gravi responsabilità di quei produttori europei che in tal modo riescono a eludere i costi delle normative ambientali. In Ghana per esempio, dove l’85% dei container illegali carichi di rifiuti elettronici provengono dal Vecchio Continente, Greenpeace ha rilevato concentrazioni 100 volte superiori a quelle normali di piombo, cadmio e antimonio nei suoli dove i RAEE vengono bruciati a cielo aperto riscontrando presenze preoccupanti anche di altri veleni quali diossine, cloro e bromo.
In asia la situazione è diversa?
Dall’Africa all’Asia la musica non cambia, così come la responsabilità di Europa e Usa. Al porto di Honk Kong, uno dei più trafficati al mondo, giungono giornalmente decine di migliaia di container, compresi quelli che a bordo camuffano in vari modi i RAEE, destinati principalmente all’enorme centro di riciclo di Huaqing, o alla città di Guiyu che è il più grande centro al mondo di riciclo dei rifiuti elettrici e elettronici, sito a 200 Km dal porto. Qui, dalla metà degli anni ’90, arrivano annualmente oltre 1 milione di tonnellate di e-waste, gestiti in modo del tutto approssimativo da parte di lavoratori in fuga dalle poverissime province agricole cinesi, che guadagnano la miseria di 10 dollari al giorno. Dopo aver recuperato oro, rame e altri elementi utili con metodi altamente inquinanti e poco sicuri, ogni sera sulle rive del fiume Lian vengono dati alle fiamme i rifiuti da cui non è più possibile estrarre nulla. L’acqua di Guiyu è così inquinata da piombo, cromo e zinco da non essere più potabile e in tutta la zona si rilevano le concentrazioni di diossine cancerogene più alte al mondo. In aggiunta, come rivelato da uno studio dell’Università di Shantou, l’82% dei bambini che abitano in quella zona hanno livelli elevatissimi di piombo nel sangue.