Gli NFT sono senza dubbio la tecnologia del momento: collezionisti di vario genere e speculatori stanno spendendo miliardi di dollari per acquistare opere d’arte e molti altri “oggetti” digitali, dai tweet delle star a altri tipi di contenuti unici. Ma su cosa si basa questa nuova tecnologia? Si tratta veramente di una rivoluzione o è semplicemente una bolla gonfiata dall’attuale mania verso tutto ciò che è legato al mondo della blockchain? Gli NFT (non fungible tokens) sono dei token unici e non duplicabili: in comune con le criptovalute, come i Bitcoin, essi hanno la tecnologia blockchain ossia una sorta di registro pubblico digitale a prova di manomissione che registra minuziosamente ogni passaggio di proprietà di un gettone da un utente a un altro. A differenza delle criptovalute, tuttavia, gli NFT sono considerati come pezzi unici, anche se si appoggiano sulla stessa tecnologia. Ogni bitcoin è equivalente a un altro bitcoin, proprio come ogni banconota da 50€ può essere scambiata con un’altra banconota da 50€: proprio questo è il concetto di “fungibilità”. Gli Nft sono invece, come da definizione, “infungibili” perciò hanno valutazioni fissate dal miglior offerente, proprio come un pezzo unico da collezione. In pratica il supporto tecnologico è un certificato di proprietà, che può essere associato a beni particolari, o informazioni, o può garantire diritti e privilegi al suo possessore.
La rivoluzione del mondo dell’arte
Le possibili applicazioni di questa tecnologia sono moltissime e probabilmente è ancora presto per apprezzarne il pieno potenziale. La prima grande rivoluzione, che potrebbe marcare veramente un cambiamento epocale, è arrivata nel mondo dell’arte. Fino a qualche mese fa, per un’artista che produceva le sue opere in formato digitale, sarebbe stato praticamente impossibile monetizzare la propria arte. Il problema risiede nella riproducibilità: un’opera digitale è di fatto un file che può essere copiata in infinite copie. Con l’avvento degli NFT, le regole del gioco sono cambiate: adesso è possibile provare il possesso dell’opera, che viene certificato con un atto infalsificabile, ovvero il possesso del NFT. Il fatto che l’opera resti riproducibile, non ne diminuisce il valore anzi, potrebbe aumentarlo in caso l’opera diventasse popolare. D’altronde anche le immagini della Gioconda sono liberamente accessibili e il suo valore rimane inestimabile. La possibilità di provare il possesso di un’opera digitale potrebbe valorizzare il lavoro di artisti fino a ora rimasti esclusi dal mercato dell’arte, facendo prosperare nuovi formati espressivi. Gli artisti che vogliono vendere il loro lavoro come NFT devono registrarsi su un mercato, quindi “coniare” i token digitali caricando e convalidando le loro informazioni su una blockchain (tipicamente la blockchain di Ethereum). In questo modo possono mettere il loro pezzo all’asta su un mercato NFT. L’artista digitale Mike Winkelmann, noto come Beeple, ha venduto uno dei suoi pezzi digitali per un record di 69 milioni di dollari presso la famosa casa d’aste Christie’s l’11 marzo. Si tratta del terzo prezzo più alto mai ottenuto da un artista vivente, dopo Jeff Koons e David Hockney. Anche se il prezzo può sembrare esagerato per quello che effettivamente è solo un file, bisogna ricordarsi che questa passerà alla storia come la prima grande vendita di un’opera d’arte digitale della storia: una transazione che potrebbe restare nei libri di storia dell’arte nei secoli a venire.
Altre possibili applicazioni
La possibilità di vendere qualsiasi oggetto digitale ha scatenato una vera e propria mania. Tanto per fare un esempio, il fondatore di Twitter, Jack Dorsey ha venduto un token che certifica il possesso del suo primo tweet, ovvero il primo tweet postato sulla piattaforma. Chiaramente il possesso di un tweet sembra un concetto molto difficile da afferrare e non è escluso che chi ha deciso di spendere 2.9 milioni di dollari per acquistarlo si troverà presto con un pugno di mosche. Ma bollare questa degli NFT come una bolla sembra prematuro. Gli NFT sono uno strumento che permettono di collezionare e certificare il possesso di qualsiasi oggetto digitale. Il valore di questo certificato di possesso dipende semplicemente dalla legge della domanda e dell’offerta e dalla tiratura, come succede per qualsiasi oggetto collezionabile, anche fisico. Alcuni oggetti assumono enorme valore nel tempo, altri semplicemente vedono il proprio valore inflazionarsi in determinati momenti storici, a causa dell’interesse dei collezionisti. Se tra 50 anni ci sarà chi darà un valore a oggetti digitali legati alla preistoria dei social network, allora il certificato di possesso del primo tweet della storia avrà un enorme valore, altrimenti non varrà nulla. Lo stesso vale per un francobollo, se tra 50 anni ci saranno ancora collezionisti interessati a questi oggetti allora essi continueranno ad avere valore, altrimenti finiranno in qualche museo sulla storia delle poste. Gli NFT sono semplicemente strumenti che permettono di applicare queste regole che da sempre valgono per il mondo fisico al mondo digitale, e questo concetto è probabilmente destinato a restare. Chi storce il naso sui prezzi che si vedono in questo momento deve rendersi anche conto che siamo nella fase pionieristica di questa tecnologia e da un punto di vista del collezionismo questo aumenta il valore potenziale dei token acquistati in questo momento, infatti non ci sarà mai più un’altra prima opera digitale venduta all’asta per milioni di dollari come quella di Beeple.